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Il vecchio impilò nella stiva l’ultima cassetta di paranza, per quella notte il lavoro era finito. Scosse la testa, avevano pescato bene, ma i pesci continuavano a cambiare, c’era persino una cassa di platessa.
«Torniamo a casa» urlò al nipote dall’altra parte del piccolo peschereccio.
Quello gli rispose con un muto cenno d’assenso e la barca cominciò lentamente a girare la prua verso terra.
Il vecchio rimase sul ponte nonostante l’aria gelida, il suo posto era sempre stato quello, ma faceva ogni anno più freddo e le sue ossa cominciavano ad averne abbastanza. Forse è tempo di smettere – pensò.
Avrebbe potuto, ma bisognava prima trovare un aiuto per il nipote, non poteva uscire in mare da solo, già in due si faceva fatica. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento di gettare l’ancora, tanto valeva trovare una soluzione prima di allora.
Lo stesso mare stava cambiando, forse sentiva freddo come lui. Verso Nord si vedeva avanzare una tempesta, per fortuna li aveva lasciati in pace durante la pesca, ma presto sarebbe arrivata da loro. Anche le tempeste sono diverse, più cattive, quasi feroci.
Tirò fuori dalla tasca una scatola di latta e ne trasse un sigaro e uno Zippo. Forse il fumo un giorno lo avrebbe ucciso, intanto però era un aiuto per mitigare il gelo che entrava nei polmoni a ogni respiro.
Mentre tirava la prima boccata li vide, confusi tra le volute di fumo come fantasmi. Gettò via il sigaro e si voltò verso il nipote che gli fece un cenno di assenso, anche lui li aveva avvistati e stava di già virando. Loro due si erano sempre capiti e questo li faceva muovere con un unico intento, raramente tra loro servivano parole.
Tornò a guardare il gommone. Era abbastanza grande, un modello costoso, capace di tenere il mare aperto, ma era facile prevedere cosa sarebbe successo se la tempesta lo avesse raggiunto. Considerò le distanze e sperò di riuscire a completare il salvataggio in tempo per evitarla, perché in caso contrario anche per il peschereccio sarebbe stato faticoso uscirne senza danni.
Mentre il nipote governava per avvicinarsi al gommone, lui preparò alcune cime, ne assicurò un capo ai salvagente e un altro alla barca. In quel modo sarebbe stato più facile far salire a bordo i profughi.
Mentre si avvicinavano li poté osservare meglio. Ormai scappano anche i ricchi – pensò, notando la qualità del gommone, i vestiti e le attrezzature, i piccoli bagagli impermeabili che si erano portati dietro, che di certo contenevano tutto ciò che quella gente aveva di più prezioso. All’inizio i profughi erano arrivati traversando lo stretto, su imbarcazioni di fortuna, barconi, vecchi pescherecci appena in grado di galleggiare, stipati fino all’inverosimile. Erano quelli già miserabili nel loro paese che fuggivano per sopravvivere. I ricchi invece avevano resistito per un po’, sperando in un miracolo che cambiasse le cose. Ma il miracolo non era mai arrivato e ora toccava a loro traversare il mare, più comodi, quasi discreti, alla spicciolata. Di tanto in tanto ne arrivava qualcuno anche lì da loro. Anche in questo frangente i soldi fanno la differenza.
Ormai il peschereccio aveva affiancato la piccola imbarcazione. La tempesta si avvicinava ma il mare era ancora abbastanza tranquillo da permettere il trasbordo. Lanciò una cima sul gommone per poterlo avvicinare al fianco del peschereccio e poi un seconda con un salvagente in mare, nel caso in cui qualcuno fosse caduto in acqua.
Non provò neanche a parlare francese o arabo, diede gli ordini in inglese, l’unica lingua che funzionava sempre in queste occasioni, da qualsiasi luogo provenissero i disperati di turno.
Un paio dei profughi, forse gli scafisti, gli risposero con sicurezza. Non volevano salire a bordo del peschereccio, pensavano di poter raggiungere terra da soli. Il vecchio pescatore indicò la tempesta incitandoli e i due, dopo aver scambiato qualche parola con gli altri, finalmente si convinsero. Per fortuna sapevano il fatto loro e riuscirono a tenere le due imbarcazioni abbastanza vicine da consentire a tutti i passeggeri di salire a bordo del peschereccio senza danni. Per ultimi anche loro li seguirono, lasciando al suo destino il gommone. Il vecchio pescatore lo guardò allontanarsi a malincuore, era una buona barca, di valore. Ma fu la distrazione di un solo attimo, poi l’urgenza di fuggire dalla tempesta lo prese.
«Women, childrens, down, inside, stay there!» gridò alle donne indicando l’accesso alla cabina sotto coperta. «You, sit down here» mostrò agli altri dove sistemarsi. Non ci fu bisogno di dare ordini al nipote, il peschereccio stava già filando verso la costa e non appena tutti furono seduti si sentì il motore alzare il tono al massimo della potenza.
Il vecchio guardò la tempesta e calcolò che anche quella notte avrebbe dormito sano e salvo nel suo letto.
«Thank you, thank you!» disse uno dei profughi, un uomo sui quaranta, biondo, dagli occhi di un celeste ceruleo.
«Where are you from?» chiese il vecchio più per rompere la tensione che perché volesse davvero saperlo.
«Sono tutti di Oslo, cinque famiglie» rispose uno dei due scafisti in perfetto francese. «Io sono Thomas e lui è il mio amico Marc. Noi siamo di Marsiglia.»
«Sono norvegesi? Ci vive ancora gente lassù? Come fanno?»
«Nessuno ci vive. Loro si sono dovuti spostare sempre più a Sud attraverso tutta l’Europa. Sono cinque anni che fuggono. La zona di glaciazione ormai si sta espandendo anche a Francia e Germania meridionale. La Spagna, l’Italia e una fascia costiera degli altri paesi mitigati dal Mediterraneo dovrebbero rimanere in gran parte abitabili. Però tutta la popolazione del Nord Europa si sta concentrando in quei territori e le condizioni di vita saranno presto inaccettabili. Per questo abbiamo deciso di aiutare questi amici norvegesi e unirci a loro. Abbiamo preso un aereo per le Canarie e comprato il gommone. E ora eccoci qui.»
«Ma avevano detto che si era fermata!»
L’uomo scosse la testa. «Quello lo dicono alla gente per evitare il panico, ma non si sta fermando e gli scienziati non riescono a mettersi d’accordo sulle previsioni. L’unica cosa certa è che fa ogni anno più freddo. E ogni anno una zona sempre più ampia a Nord diventa praticamente inabitabile.»
Il vecchio si ammutolì mentre i pensieri gli affollavano la mente. Tra i tanti uno emerse con urgenza. Se avessero attraccato al porto le autorità marocchine avrebbero di certo rispedito quella gente in Spagna. Il governo aveva sopportato per qualche anno il flusso di immigrati ma quando gli stati confinanti avevano cominciato a respingere i profughi che volevano lasciare il Marocco era apparso necessario fare lo stesso nei confronti di quelli che provenivano dalla vicina Spagna.
«Dove pensate di andare?»
«Abbiamo dei contatti a Tarfaya, loro ci possono aiutare a partire da lì per continuare il viaggio.»
«Se ormeggiamo al porto la polizia vi rimanderà in Spagna.»
L’uomo annuì: «Lo so, ma noi abbiamo molti soldi. Possiamo pagare. Ci potete aiutare? Siamo solo esseri umani che cercano di sopravvivere, non negateci questa opportunità. Basta che ci aiutiate a raggiungere i nostri amici, poi ci penseranno loro a metterci al sicuro.»
Il vecchio sospirò, era sempre la stessa storia, anche ora che le parti si invertivano.
«Ascolta Thomas, io sono Adil, sono nato in questa terra settantadue anni fa. Quando ero ancora un neonato mia madre e mio padre affrontarono il deserto, salirono su una barca sgangherata per traversare il mare di Sicilia e poi fuggire per mezza Europa, in cerca di una vita migliore. Io sono cresciuto in Francia, ci ho lavorato per gran parte della vita, poi un giorno ho preso l’aereo e sono tornato qui a diventare vecchio. Forse è stata una premonizione, forse solo nostalgia, non so, ma sono stato fortunato. Continuo a pescare, come ho sempre fatto, e ho imparato una cosa. Ci sono pesci di ogni colore nel mare, di ogni forma, alcuni buoni, altri cattivi, altri ancora pericolosi, ma tutti, tutti nuotano nello stesso mare.»
I due francesi sgranarono gli occhi, non riuscendo a decifrare cosa volesse significare quel discorso. Anche i norvegesi lo guardavano in silenzio senza capire, i volti tesi.
Il vecchio Adil si alzò e raggiunse il nipote nella cabina di pilotaggio. Confabularono tra loro, poi l’imbarcazione fece un leggero cambio di rotta e il vecchio tornò dai profughi.
«Possiamo comunicare con i vostri amici?»
Il francese annuì.
«Allora avvisateli, ditegli che ci aspettino sulla spiaggia di Hafida. Tutti gli abitanti di Tarfaya sanno dove si trova. Vi sbarcheremo lì.»
«Grazie, grazie di cuore.» Aprì lo zaino e cominciò a contare il denaro, Adil lo fermò stringendogli la spalla.
«Tieni da conto i tuoi soldi, più avanti nel vostro viaggio vi serviranno davvero.»
Non rimase a guardare l’espressione stupita sui volti di quegli uomini, né ascoltò la telefonata che Thomas fece al suo contatto sulla terraferma. Andò invece a poppa a controllare il mare, bisognava tenere gli occhi aperti per evitare i banchi di sabbia che si trovavano sulla loro rotta. Era un passaggio pericoloso.
Li salutarono poco dopo, prima di farli sbarcare sulla spiaggia con un semplice abbraccio. A terra li attendevano già i loro amici e così il peschereccio riprese subito il mare, diretto alla sicurezza del porto. La tempesta era vicina.
Poco dopo, mentre legava la cima all’ormeggio suo nipote gli fece una sola domanda: «Perché?»
Non ne fu sorpreso, se l’aspettava, avevano rischiato grosso, senza un motivo evidente. Si sedette sulla sponda, tirò fuori la scatola di latta, ne estrasse due sigari, uno lo porse al nipote, l’altro lo accese per sé.
«C’erano due marinai siciliani, si chiamavano Tommaso e Marco.» Tirò una lunga boccata. «Quella notte mio padre morì ma salvarono me e mia madre.»
«Thomas e Marc?»
Il vecchio annuì: «Niente succede per caso.»
Il ragazzo sorrise, si sedette accanto allo zio. Fece anche lui una lunga tirata. La tempesta era arrivata.
«Inshallah» disse, mentre la neve iniziava a cadere.
© 2015-2016 Mario Pacchiarotti
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