Questa domenica eravamo in strada. Con il nostro banchetto, qualche piantina per dare colore al tavolo, un bel cartellone colorato con le nostre speranze per le attività di quest’anno. C’era il libro ricordo che abbiamo stampato con i piccoli, semplici ma sinceri racconti dei ragazzi. C’eravamo noi, deboli e umani, eppure ancora una volta qui.
E non eravamo soli. Attraversare la nostra città, questa domenica di sole, è stato come precipitare in fondo a un anomalo girone dantesco. Non dannati però potevi incontrare, ma strani personaggi che assiepavano gli angoli e le vie. Gente senza qualità speciali, del tutto normale, a volte persino chiaramente svantaggiata da questo o quel problema fisico o mentale. Gente che, non si sa come, non si sa perché, invece di occuparsi dei fatti propri aveva dedicato durante l’anno scolastico in via di conclusione, tempo e risorse nel tentativo di fare qualcosa di utile.
Gente strana. Gente diversa. Incomprensibile.
Questa era la nostra festa. La festa dei diversi, di quelli che nonostante sentano di non valere molto non riescono a restarsene con le mani in mano. Gente che getta il cuore oltre la siepe, che si sente inadeguata ma che ci prova lo stesso. Ognuno a modo suo, ognuno secondo il suo istinto, pagliacci e giocolieri, artisti e sportivi, insegnanti e guide, padri e figli. Tutti diversi, tutti un poco difettosi, tutti pronti a illudersi di poter cambiare qualcosa.
Può darsi che il nostro sia solo un agitarci scomposti. Può essere che la traccia che lasciamo sia giusto un velo di bava, visibile solo agli occhi più sensibili sotto un chiaro di luna. Però domenica c’erano sorrisi, domenica c’erano abbracci e saluti, scambi di indirizzi, nuovi piani e nuove relazioni. Gioia.
Anche quest’anno sono rimasto in bilico tra lo sconforto e il desiderio. Per la fatica che mi costa, per l’impegno che mi pesa, per la consapevolezza di essere inadeguato, di poter fare così poco. In me più che in altri forse c’è il tarlo che rode per l’impotenza di fronte al mare che dovremmo affrontare. O forse è un male che ci accomuna.
Eppure domenica per qualche attimo mi è sembrato che si potesse fare. Che noi mostri, diversi, brutti, deboli, spesso evitati, esiliati, allontanati, forse possiamo fare qualcosa di buono. Per noi, per la nostra città, qualcosa magari di piccolo, limitato, poco importante, eppure qualcosa. Qualcosa. Infinitamente più di niente.
Lo chiamano volontariato, le chiamano associazioni, arrivano anche a pensare male, che lo si faccia per soldi.
Ma io lo so, noi lo sappiamo, e domenica chiunque sia stato lì ha potuto respirarlo.
La parola giusta è amore.
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