Foto di Joe Shillington - via Unsplash https://unsplash.com/@joeshillington

Frequentando il mondo dell’editoria ci si imbatte spesso in un discorso ricorrente: in Italia c’è troppa gente che scrive. La critica sottende un problema di qualità; in pratica in fondo a quella frase aggiungete uno schifezze e avrete un quadro più completo del pensiero che accomuna un po’ tutti i professionisti del settore.

Naturalmente nessuno di loro, proprio nessuno, pensa di far parte della schiera di coloro che dovrebbero smetterla, di scrivere intendo, ma questo è un tratto ben conosciuto della natura umana. Ora, non è che io sia in completo disaccordo con questa visione, mi rendo conto che viene immessa sul mercato ogni giorno una mole considerevole di materiale e che molto di questo con tutta la buona volontà non si può definire neanche passabile. Tuttavia quando leggo il concetto espresso in maniera così secca, drastica, quasi come uno slogan, mi si muove qualcosa dentro.

Sarà che sono un legal chaotic di natura, quanto meno in potenza, però non riesco proprio a convincermi che la causa dello stato in cui versa la letteratura e la lettura in Italia risieda nell’eccesso di persone che amano scrivere. Non credo neppure sia un fattore determinante. Anzi, se proprio la devo dire tutta, secondo me il problema semmai è il contrario: in Italia si scrive troppo poco.

Va bene, detta così ha in sé le stesse caratteristiche che ho appena criticato, è più che altro una provocazione. Passo allora a spiegare meglio perché la penso così, convinto che molti di voi che ora storcete la bocca disgustati e un po’ esasperati, alla fine vi troverete più vicini alla mia posizione di quanto ora possiate immaginare.

Scrivere non significa pubblicare un libro

Mi rendo conto che detto da un autore indie questo suona un po’ strano, eppure alla base di tutto deve essere chiara questa verità: la passione per la scrittura non implica in maniera automatica la pubblicazione. Oggi in realtà c’è una sorta di preconcetto per il quale ha senso scrivere solo nell’ottica di scrittura come prodotto: scrivo (produco), pubblico (vendo). Il risultato di questo modo di vedere le cose è che a scrivere sono in pochissimi, ma tutti quelli che lo fanno pensano di poter pubblicare e spesso non hanno la minima idea del proprio valore.

Sono sicuro che proprio ora, mentre mi state leggendo, alcuni di voi si staranno chiedendo di che parlo, che altra ragione ci può essere per scrivere se non quella di creare un libro e distribuirlo. Lo so che lo state pensando, ed è proprio questo il guaio, siamo cresciuti con questa idea in testa e abbiamo dimenticato le tante sfaccettature della scrittura. Il fenomeno è comune ma la mia impressione è che non in tutti i paesi sia forte come nel nostro. E che la limitata diffusione della lettura sia in qualche modo legata anche alla scarsa diffusione della scrittura.

Un buon esempio di attività di scrittura non finalizzata alla pubblicazione è la tenuta di un diario. Si tratta di un’abitudine ormai abbastanza poco diffusa nel nostro paese ma ancora ben radicata in quelli di lingua inglese e tedesca. Un diario rappresenta una forma di scrittura particolare, ma pur sempre di scrittura si tratta e neppure di una delle forme meno impegnative. L’abitudine di tenere un diario può accompagnarci per tutta la vita, o magari solo durante gli anni dell’adolescenza. Abitua le persone a dare forma ai propri pensieri, a spendere un poco di tempo nel riflettere sugli avvenimenti da poco trascorsi per arrivare alla sintesi, all’essenza delle cose importanti.

Un altro esempio è la scrittura di lettere. Quando ero ragazzo si usava ancora cercare in giro per il mondo degli amici di penna; ricordo con piacere la ricerca sugli albi Topolino degli indirizzi da contattare e la gioia del ricevere una lettera vera, indirizzata proprio a me. Credo che questo fenomeno sia ancora coltivato e praticato in molti paesi.

Ci sono molti altri modi di praticare la scrittura senza per questo pubblicare un libro. Alcuni sono nuovi, moderni, nati da pochissimi anni, come la pubblicazione di articoli su blog e altri media sociali. Altri sono legati al passato ma ancora attuali, come la stesura di articoli e saggi per giornalini, fanzine, redazioni locali. Quasi tutti sono alla portata di chiunque abbia voglia e tempo. Ci sono poi tutti quelli che portano avanti una carriera accademica, per i quali la scrittura non è certo aspetto marginale.

Potrei andare avanti ma credo che il concetto sia chiaro e condivisibile: scrivere è un’attività che può essere svolta per molti scopi e in molti campi, non limitata alla stesura e pubblicazione di romanzi. In quest’ottica non è difficile convincerci che in Italia si scriva poco, sicuramente meno di quanto si faccia nei paesi del nord europa. Sarebbe auspicabile scrivere di più, avere più persone avvezze a questa pratica. Se ciò accadesse avremmo alcuni effetti collaterali positivi.

In estrema sintesi, si può scrivere senza essere scrittori, senza essere dei professionisti della scrittura, si può insomma scrivere come amatori.

Chi scrive legge

Sembra una banalità ma è proprio così. Quelli che praticano la scrittura sentono maggiormente il bisogno di leggere. Ci sono molte ragioni. Migliorare la propria scrittura, il confronto con gli altri, la ricerca di ispirazione, ma anche il semplice piacere, aumentato, amplificato in chi scrive rispetto a quanto avviene in chi non lo fa. Perché scrivere vuol dire riflettere sulle parole, sui concetti, sulle modalità di costruzione di una frase. Implica spesso una ricerca, un affinamento per tentativi. E tutto ciò rende più consapevoli rispetto a quello che si legge. Più capaci di comprendere, quindi maggiormente in grado di godere della lettura.

Potete obiettare, non senza ragioni, che non è necessario scrivere per raggiungere un livello di comprensione del testo e della letteratura superiore, basta studiare. Ma anche ammettendo che sia la stessa cosa, e secondo me non lo è, fatevi questa domanda: chi studia letteratura, chi studia i segreti del testo, quante possibilità ha di essere una persona che non scrive? Direi ben poche. L’amore per la letteratura è più intimamente legato alla scrittura di quanto non lo sia con la lettura. Perché chi scrive inevitabilmente legge. Voi lo sapete che è vero, e lo è talmente tanto che quando qualcuno si professa scrittore e poi vi dice che legge malvolentieri, rabbrividite.

Chi scrive non svaluta la scrittura

Ci sono molte persone che leggono ma al tempo stesso hanno un atteggiamento di svalutazione della scrittura. Considerano esagerato il costo di un libro, qualsiasi sia. Spesso cercano di non pagare affatto, e non lo fanno per mancanza di soldi ma perché ritengono consciamente o inconsciamente, che lo scrivere sia una cosa da poco, alla portata di tutti, che non richieda particolare impegno. Questo è un problema comunque a molte forme d’arte.

Se però parliamo con un lettore che scrive, non importa a quale livello, non importa se per pubblicare un libro o semplicemente per tenere un diario o per il semplice piacere di avere una storia in un cassetto, allora le cose sono diverse. Perché chi scrive con impegno, chi lo fa con passione, qualsiasi sia l’esito finale del suo sforzo, sa bene che le cose non sono facili come sembrano a chi non si è mai cimentato nel tentativo. In media, dunque, chi scrive è in grado di apprezzare maggiormente lo sforzo necessario a produrre un buon libro.

Poi certo, esiste un insieme di esseri umani che volontariamente svaluteranno il lavoro di altri, per invidia o semplice antipatia, ma qui entriamo in un campo diverso e la caratteristica di scrivere aiuta poco. Di questi purtroppo dovremo sopportare comunque gli strali.

Chi scrive sa scegliere meglio

Un lettore che scrive ha un altro vantaggio: può valutare con più facilità un testo e quindi riesce probabilmente a selezionare buoni libri meglio di chi non lo fa. Parliamo sempre di persone che scrivono con impegno, che hanno cercato di comprendere i principi della narratologia, che hanno in generale la capacità di percepire la qualità di ciò che leggono a un livello superiore rispetto ad altri lettori.

Sapere scegliere un libro di qualità non è un vantaggio solo per loro, ma per tutto il mondo editoriale. Io sono convinto che un libro che emozioni i lettori abbia un valore che va al di là della sua qualità letteraria, ma questo non significa che non si debba perseguire entrambi gli obiettivi: valore emozionale e valore letterario. Gli stessi autori che pubblicano possono trovare giovamento nel ricevere, insieme agli apprezzamenti, anche critiche equilibrate e mirate, ben circostanziate. E un lettore che scrive è di certo più in grado di farlo rispetto a uno che non scrive.

Lo scrittore amatoriale

Potrei continuare, ma la smetto e concludo, credo che abbiate un quadro di ciò che intendevo dire: di scrittori che pubblicano forse non si sente un gran bisogno, ma di gente che scriva non ne avremo mai abbastanza. Non sentitevi sminuiti pensando a voi stessi come scrittori amatoriali. Anche se avete pubblicato, persino se lo avete fatto con degli editori, magari con il più grande di tutti. Non so tracciare la differenza essenziale per discriminare lo scrittore amatoriale da quello professionale, credo che non debba essere una nostra preoccupazione fare questa distinzione. Sono convinto che spetti agli altri dircelo, e forse non è poi nemmeno importante saperlo.

L’importante, a qualunque livello voi pensiate di essere, è ricordare che si tratta di un’attività dove non si arriva mai a un punto di stasi definitiva. Nella pittura questi percorsi di crescita sono evidenti, basta guardare a posteriori i quadri dipinti dai grandi artisti nei vari periodi della loro vita perché questo balzi agli occhi. Nella scrittura magari le differenze sono più sottili, spesso più interne, invisibili o quasi sullo scritto finale, eppure presenti.

Non fatevi dire da nessuno che non dovete scrivere. Non obbligate nessuno a leggervi. Lo so, non è qualcosa di facile da fare e tutti di tanto in tanto cadiamo in tentazione. Però è bene ricordarcelo. Scrivere fa bene, è bellissimo e forse anche importante. Poter scrivere è un diritto, non leggerci lo è altrettanto.