Ho la netta impressione che a un certo punto ci arrivino tutti. Quelli che per sbaglio si avventurano nel mondo editoriale, intendo. Credo che sia così, arriva il momento in cui la sensazione dominante diventa la voglia di vomitare. Intendiamoci, ci si arriva per percorsi diversi, per motivi magari opposti, ma alla fine ci si arriva.

E ci arrivano tutti, indifferentemente. Editori, scrittori o aspiranti tali, tipografi, grafici, editor… tutti.

Ammettiamolo, quello dell’editoria è un mondo davvero di merda (tanto per stare in tema con uno dei miei post precedenti).

Economicamente? Merda!

Soddisfazioni? Tantissima merda!

Aspirazioni? Puzza di merda!

Sì, certo, lo so che state pensando, che non è vero, che ci sono un sacco di bellissime persone, che a volte, per alcuni, in certi momenti, per limitati o prolungati periodi di tempo, il vento gira meglio e allora cambia tutto. Avete ragione, ho conosciuto persone meravigliose, e solo questo potrebbe ripagare di qualsiasi sforzo profuso. Ma ciò non cambia lo sfondo, e sullo sfondo questo è un mondo che attira gente brutta, arrogante, invidiosa, negativa fino alla noia, distruttiva e intrigante. Dove circolano imbroglioni, spocchiosi, permalosi, personaggi pieni di orgoglio ferito, professorini frustrati, precisini privi di talento e per questo pronti ad affondare qualsiasi sprazzo di vita alteri la piatta superficie del mare di mediocrità dove sguazzano.

Non sto parlando tanto dei professionisti, di quelli che in qualche modo riescono a campare dentro questo mondo dall’economia risicata e difficile da bilanciare, e magari a spiccare. Quelli che il più delle volte, se non esageri nelle pretese, sono accomodanti, tolleranti, socialmente positivi, gentili, disponibili, comprensivi. Una parte sana e positiva, forse persino maggioritaria ma molto più silenziosa e quasi invisibile rispetto alla ciurma che infesta l’ambiente. Anche tra loro, s’intende, c’è chi meriterebbe calci in faccia, quanto meno virtuali, perché la puzzetta sotto al naso è diffusa e la paura di diventare obsoleti sempre latente, per quanto a mio avviso ingiustificata.

Ma ci sono anche quelli che hanno scritto il capolavoro del secolo, quelli che l’editor non si deve permettere, quelli che mi pubblico da solo perché gli editori non capiscono niente. Gli scrittori che non hanno tempo e voglia di leggere. Quelli che cercano un editore da ben tre mesi e non vogliono diventare vecchi. Quelli come me che scrivono per divertimento ma si incazzano sul serio quando non li prendi sul serio. Insomma in ogni dove, sotto ogni forma, il mondo dell’editoria è un miscuglio micidiale di brava gente e figli di mignotta, di meravigliosi personaggi e infime sottospecie subumane. Discernere, un’enorme fatica.

I peggiori sono i wannabe falliti o, peggio ancora, quelli che non hanno capito di esserlo e presumono la loro grandezza ingiustamente sottovalutata. Quelli che hanno la verità in tasca, l’unica, l’assoluta, l’immutabile verità. Quelli che se fai qualcosa di differente non hai capito niente. Quelli che se pensi diversamente da loro sei stupido. Quelli che vanno a metterti la recensione anonima a una stella, perché quelle a cinque di certo sono false, visto che tu sei diverso da loro e quindi non puoi, non puoi proprio essere bravo. Quelli che arriva prima il loro (risibile) pedigree letterario e poi, dopo un po’, entrano loro. Quelli che troppa gente scrive e non capiscono che se scrivessero tutti sarebbe un mondo migliore. Quelli che non vendono, non sfondano, ma non certo per colpa loro. Quelli che lo scrittore famoso, che vende libri come il pane, scrive di merda, lui. Quelli. Li conoscete, sono loro. Mi verrebbe da dire, siamo noi.

Non sono la maggioranza, tutt’altro, ma si sforzano di pervadere con il loro veleno ogni conversazione, dialogo, interazione, ogni ambito e luogo sia alla loro portata. Specialmente quelli virtuali dove il rischio di prendere un pugno sul naso è irrisorio. E il peggio è che probabilmente neanche si rendono conto di quanto male facciano.

E qualche volta, per uno strano mistero, riescono talmente bene ad avvelenare l’ambiente che li circonda, che persino persone del tutto diverse da loro finiscono per assumerne i toni e i metodi, facendosi arroganti e violente. Un po’ come è successo a me ora, mentre scrivo questo articolo. Ma come dicevo giorni fa, è ora di dire pane al pane… e poi ho voglia di sfogarmi, di scrollarmi di dosso un po’ della merda che mi è arrivata addosso mentre passavo da queste parti.

Ma per fortuna, grazie al cielo, io non sono uno scrittore. Quindi posso fregarmene di tutti e tutto, decidere ogni giorno se scrivere o meno, se pubblicare oppure no, se interagire con questo mondo o starmene a giocare con il mio gatto, baciare mia moglie, ammirare un fiore. Ci ho messo un po’, ma ho capito che non voglio nemmeno esserlo, se esserlo comporta tutto questo. Scrivo, leggo, pubblico, ma non sono uno scrittore. Non voglio entrare in questo perverso ingranaggio. Non nella parte scura. Non scriverò recensioni a una stella, non scoraggerò qualcuno dal continuare a scrivere, non cercherò di far passare la mia idea di scrittura come quella giusta che tutti dovrebbero seguire. Non sarò, mai, uno di quelli. Se scriverò lo farò con la consapevolezza di non essere scrittore, ma con l’amore e l’impegno che il non esserlo mi consente. O almeno ci proverò con tutto il cuore.

Agli amici dunque, alla parte buona e positiva di questo mondo, chiedo di osservarmi con attenzione, e se dovessi cadere in tentazione, se dovessi diventare spocchioso, negativo verso chi scrive, inutilmente cattivo, prego loro di venirmi a prendere a calci in culo. Calci veri se necessario. Come un buon amico dovrebbe fare. E di ricordarmi ogni tanto, con amore, che non sono uno scrittore.

P.S. Se trovaste nei miei articoli errori grammaticali, sintattici, punteggiatura creativa, sappiate che li ho messi con intenzione, così, per farli soffrire. Quelli lì, naturalmente, mica voi.