In particolare quando si scrivono racconti, si sente dire come sia sempre necessario stupire il lettore, con colpi di scena, false piste, trucchi e inganni che lo portino a pensare in un modo per poi ribaltargli sotto il naso il tavolo. La sorpresa insomma parrebbe un ingrediente essenziale per fare un buon libro, o un buon racconto. Sicuramente per avere qualcosa che si faccia leggere e si venda bene. Per alcuni generi letterari come il giallo, il thriller, per i racconti brevi, si tratta di qualcosa di più di un consiglio, è considerato un ingrediente essenziale, il fattore principale che terrà il lettore incollato al libro, se non altro perché vorrà sapere “come va a finire” e naturalmente si aspetterà che il finale riservi qualche grossa sorpresa, magari a stadi multipli, in un crescendo di tensione.
Ma io, che sono un ragazzaccio cresciuto male, continuo a domandarmi se questo è davvero necessario. Perché non posso scrivere una storia e basta? Una storia che sia piacevole da leggere, che ti faccia scoprire un pezzetto di mondo, l’anima di un personaggio, che ti faccia riflettere su un argomento cui non avresti mai pensato. Quando fai leggere un racconto così a un addetto ai lavori, sai già come finirà, te lo puoi immaginare, arrivato alla fine, scuotere la testa. Con i soliti commenti: il finale è scontato, non c’è sorpresa, si capiva dall’inizio come andava a finire. Insomma non va, proprio non va, ci vuole il ribaltone, il sorpresone, il lettore insomma lo devi prendere per i fondelli per gran parte della storia, così quando capisce che lo hai fatto, quando gli sveli la verità che solo tu sapevi, penserà che sei tanto bravo.
E ancora: perché la storia deve finire? Perché non può rimanere in sospeso? O meglio, perché non posso creare una storia in cui sia alla fine il lettore a poter immaginare non tanto l’epilogo, ma cosa verrà dopo? Non sono domande poste solo per il gusto di fare qualcosa di diverso, ma espressioni di un’esigenza che viene fuori dalla pratica. La risposta a queste domande la dovrò trovare un po’ in me stesso e un po’ tramite il confronto con i lettori, ma non può essere una risposta preconfezionata, buona per tutte le stagioni.
Soprattutto l’aspetto “stupore” è qualcosa su cui voglio riflettere. Mi rendo conto che è una maniera agevole per conquistare il lettore e capisco che può essere molto più difficile farsi apprezzare con qualcosa di diverso, una narrazione che coinvolga chi legge anche se già intuisce dove si andrà a parare. Non è per paura di non saper trovare il ribaltone, la sorpresa, che faccio queste considerazioni. Si tratta più di seguire il mio istinto, rimanere fedele a un certo modo di vedere le cose. Mi piacerebbe, ma non è detto che ci riesca, creare un altro tipo di stupore, non quello determinato dalla sorpresa di un gioco più o meno ardito che tragga in inganno durante la narrazione per poi svelarsi, ma quel tipo di stupore, di sensazione a metà tra l’incredulità e la gioia, che si prova quando si ammira un paesaggio o un’opera d’arte molto bella. Uno stupore sottile e costante, una sorta di magia, di atmosfera magica, di sensazione che qualcosa stia per accadere. E magari, alla fine, lanciare una freccia nel bosco, aprire una porta nel buio, indicando insomma una direzione, una potenzialità, un possibile luogo, ma non una fine, una conclusione, una chiusura. Se ci riuscissi, se ne fossi capace, allora potrei dire che non è necessario stupire, non per forza.
D’altra parte non si può prescindere dai gusti di chi ci legge. Se un altro modo non funziona, se dovessi toccare con mano che sorprendere è davvero una necessità, allora mi rassegnerò a seguire questa strada. Ma vale la pena fare dei tentativi, percorrere qualche sentiero diverso e vedere dove mi porta. Magari in giro ci sono altre persone che come me amano il percorso più della destinazione, la profondità più della sorpresa, la riflessione più del colpo di scena. Senza comunque rinnegare la possibilità di farlo, invece. Perché anche scrivere deve creare possibilità, aprire porte, ampliare gli spazi dell’immaginazione e della creatività.
Magari mi toccherà scoprire di non essere in grado di seguire questa strada. Ma potete stare certi che ci proverò. Lancerò la freccia, senza sapere dove vi porterà.
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