Baby Boomers è ormai disponibile su Amazon, prenotabile e presto scaricabile. Molto tempo è passato da quando ho iniziato a scriverlo e il suo testo ha attraversato fasi successive. Una prima in cui c’era semplicemente la scrittura, la creatività, incanalata dal progetto, ma comunque piuttosto libera, leggera e veloce, senza troppi pensieri.

Continuo a pubblicare i frammenti eliminati durante le varie revisioni del libro. Non ne fanno più parte e provenendo direttamente dalla prima stesura non hanno subito la lavorazione di raffinamento di cui ha goduto il resto del libro, ma rappresentano comunque abbastanza bene il clima e l’ambientazione.

Questo è il secondo della serie. Ancora una volta protagonista è il commissario Marchetti, stavolta alle prese con un fastidioso inconveniente, ma soprattutto costretto ad affrontare i suoi stessi sentimenti e pensieri.

Marchetti e i graffiti

C’era una cosa che faceva imbestialire il vice-questore aggiunto Giuliano Marchetti oltre ogni altra: perdere tempo su cose inutili a causa dell’idiozia della gente. Così, quando quella mattina, mentre camminava verso il commissariato Parioli di cui aveva la direzione, vide le scritte sul muro di uno dei palazzi nelle immediate vicinanze, non poté fare a meno di mugugnare tra sé un paio di improperi.

ammorte governo di ladri
ci ammazzate di fame
servi dei stranieri dimmerda
vi sparamo in testa

Se fosse capitato dieci anni prima avrebbe del tutto ignorato la cosa, si trattava di un semplice sfogo di qualche sbandato che non aveva trovato niente di meglio da fare, ma l’imbecille di turno aveva messo in mezzo politica, razzismo e minacce, così non poteva fare finta di niente: qualcuno avrebbe di certo denunciato il fatto, tanto valeva agire subito ed evitare di avere gli angeli custodi tra i piedi.
Prese il cellulare e scattò un paio di foto al muro imbrattato, le inviò con un messaggio in ufficio e chiamò uno dei suoi collaboratori.
«Sono Marchetti! Ciao… Ascolta, sono qui davanti al Bar Astro, sì, a due passi. Ti ho mandato una foto, un graffito. Per favore controlla se ci sono già denunce e poi giralo agli angeli custodi, che ci pensino loro. A dopo, prendo un caffè e arrivo.»
Era parecchio che non capitava, pensò, d’altra parte da quando si erano diffusi i social network la gente preferiva lanciare improperi via Internet: era meno faticoso, non costava niente e non ci si sporcavano le mani di vernice. Era anche più facile andarli a pescare, considerò Giuliano, ma la gran parte della gente non se ne rendeva neanche conto. Comunque il problema non era suo, ci avrebbero pensato quelli della Polizia Politica a sprecare tempo per pelare quella piccola gatta. Nella polizia li chiamavano scherzosamente angeli custodi, ma erano tutt’altro che angelici, tant’è vero che la popolazione gli aveva affibbiato un nomignolo meno affettuoso, giocando sulla sigla dell’unità, li chiamavano pipì e popò; come dire piscio e merda, insomma.
Si guardò intorno, poi decise che avrebbe preso il caffè in quel bar, invece del solito posto. Magari qualcuno aveva idea di chi potesse aver fatto quel lavoretto. Non era una cosa importante, e in fondo non gli interessava più di tanto, ma Giuliano era un poliziotto vecchia maniera e se poteva sfruttare il momento del caffè per fare qualche domanda, tanto meglio. Sarebbe stato comunque un diversivo dalla solita routine.
Era un omone piuttosto alto, non grasso, con uno stomaco che cominciava a farsi prominente. La carnagione scura e i capelli neri leggermente brizzolati tradivano le origini meridionali del ramo materno, mentre gli occhi celesti erano un’eredità del padre milanese. Quel giorno indossava uno dei tanti completi grigi che riempivano i suoi armadi, sotto un cappotto antracite. Una cosa non più allegra né triste del solito, che faceva molto sbirro.
Ordinò un cappuccino e un cornetto salutando il gestore. Anche se non era il suo bar abituale si conoscevano bene.
«Buongiorno, hai visto qui di fronte, sul muro?»
«Buongiorno dottore, Sì, certo che l’ho visto. Questa mattina presto, quando ho aperto il bar, era già così. Sarà passato qualcuno stanotte. Gente che non ha da lavorare.»
Il tono con cui lo disse non lasciava intendere con chiarezza se disapprovasse davvero la cosa, oppure se il fatto che il vandalo fosse disoccupato rafforzasse in qualche modo la verità di quanto era stato scritto sul muro: ci ammazzate di fame. Non era così difficile trovare lavoro, ma gli stipendi, specialmente all’inizio, lasciavano molto a desiderare, per non dire peggio, così c’erano persone che preferivano non lavorare, incassare il misero sussidio statale e arrangiarsi in altri modi per arrivare alla fine del mese. Oppure affrontare il rischio di lavorare in nero, evitando le tasse altissime imposte sui giovani e sugli anziani.
«Di certo non è uno scrittore» scherzò Giuliano mentre sorseggiava il cappuccino.
Finita la colazione uscì in strada, non prima di aver ricordato al gestore di chiamarlo nel caso avesse avuto qualche informazione in più sull’episodio. Appena fuori dal bar si guardò di nuovo intorno e contò almeno cinque telecamere che avrebbero potuto riprendere il graffitaro. In quella zona la sorveglianza era più intensa del normale per via della presenza di tanti uffici statali e per la vicinanza del Parlamento. Si annotò mentalmente di mandare più tardi un agente a controllare i nastri.
Mentre percorreva il breve tratto che ancora lo separava dal commissariato, Marchetti non poté fare a meno di pensare a quanto fosse monotona la routine del suo lavoro. Certo, qualche volta capitava un episodio divertente, oppure un caso più difficile da risolvere, tuttavia la maggior parte delle giornate scorrevano senza emozioni. Inoltre, gli capitava sempre più di frequente di svolgere i suoi incarichi con un misto di frustrazione e insofferenza: mettere in galera uno che aveva scritto quattro cazzate su un muro, per esempio, non era certo il massimo delle sue aspirazioni. In particolare se considerava quanto ci sarebbe invece stato da fare sul fronte della corruzione.
La gente era così impelagata con la tecnologia, e i controlli preventivi così pervasivi, che negli ultimi anni era stato fin troppo facile rintracciare colpevoli e testimoni, nella stragrande maggioranza dei casi su cui si era trovato a indagare. Il controllo sulla vita dei cittadini era esercitato anche in modo indiretto, attraverso le mille azioni quotidiane che ognuno di loro compiva. L’effetto principale era stato un progressivo calo dei reati più comuni.
Nelle statistiche ufficiali non venivano riportati reati di opinione e pensiero, ma la realtà era ben diversa, gli angeli custodi si occupavano soprattutto di quel genere di controllo. Nessuno ti poteva mettere in galera per le tue opinioni, almeno sulla carta, ma non era difficile perdere il lavoro e c’erano tanti altri modi per emarginare una persona e rovinargli la vita fino a distruggerla. D’altra parte i potenti potevano contare invece su una protezione ogni giorno più forte che li teneva al riparo dai rigori della legge qualsiasi cosa facessero.
Eppure Giuliano aveva la sensazione che prima o poi, nonostante tutto quel controllo, si sarebbe creata una situazione esplosiva. Ricordava una lezione di fisica memorabile, durante la quale, per un esperimento, avevano compresso un gas fino a farlo divenire liquido. A un certo punto qualcuno volle provare a comprimerlo ancora, il contenitore si spaccò e ci fu una specie di esplosione. Un effetto che non avrebbe mai dimenticato.
Troppe cose storte, troppe ingiustizie, troppe vessazioni e furberie – pensò il vice-questore – c’è un limite a tutto, prima o poi lo raggiungeremo e allora la violenza esploderà.
Quel pensiero lo rendeva nervoso, poiché da tempo si chiedeva se a quel punto quella in cui si trovava sarebbe stata la parte giusta per cui combattere. Si strinse nel cappotto e accelerò il passo. Poteva solo sperare che quel giorno non arrivasse mai.