Ora che è passato abbastanza tempo e gli altri hanno smesso di parlarne mi sento pronto a tentare di esprimere in forma scritta quello che mi è passato in testa in occasione della manifestazione “femminista” di qualche giorno fa….
Io son nato nel 1959, nel pieno della generazione del baby boom, figlio, insieme a tanti altri, di quella che si potrebbe definire una famiglia patriarcale.
Come da copione mio padre lavorava e mia madre era casalinga.
Era un’epoca in cui potevo pronunciare una frase così davanti a mia madre senza sentirmi immediatamente in colpa per non aver posto sullo stesso piano il lavoro fuori e dentro casa.
Io stesso ho ricevuto un’educazione, ma soprattutto un esempio, che mi aveva impostato sullo stesso ideale, uomo al lavoro, donna a casa. Con il tempo sono cambiato, ma così come per l’intera società maschile, la trasformazione ha avuto bisogno dei tuoi tempi.
Avendo vissuto quel periodo e quella situazione sociale, ed avendo anche capito attraverso i racconti dei miei anziani quale fosse la situazione precedente, sono perfettamente in grado di capire da dove veniamo e quanti passi siano stati fatti. Così come comprendo quanto sia stato difficile questo percorso e quanto ancora ci resti da fare.
Non sono però affatto convinto che il rapporto tra uomo e donna debba essere necessariamente conflittuale, e ho l’impressione che allo stato attuale gli ultimi ostacoli alla completa parità tra i due sessi siano più che altro nella testa delle donne. Credo che spetti a loro fare questi ultimi passi, e penso che ci sia a volte molta confusione nel significato di questo percorso.
Per capirci, non credo affatto che fare una manifestazione come quella di qualche giorno fa senza la partecipazione dei maschi sia una buona idea. Penso sia stupido. Molto stupido. E anche un pochino triste, così come è tristissimo, veramente pietoso, l’otto marzo delle cene con le amiche e delle mimose.
Io non penso che sia più il tempo delle donne “contro” gli uomini. Credo che sia giunto il tempo per iniziare a lavorare “con” gli uomini, a fianco, né un passo avanti né uno indietro. Che persone partecipanti ad una manifestazione contro una particolare forma di violenza ne utilizzino un’altra mi sembra poi del tutto assurdo.
Trovo anche che i numeri sulla violenza alle donne diffusi prima di quella giornata siano poco credibili. Senza scendere nei dettagli alcuni dati sono talmente esagerati, talmente pervasivi e devastanti che deve necessariamente esserci qualche scollatura tra quello che è stato raccolto nelle interviste e quello che viene percepito leggendo i dati.
Leggendoli sono rimasto colpito da un fatto importante. Chi ha fatto l’inchiesta, chi ha composto la statistica, non si è preso la briga di raccogliere anche i dati corrispondenti alla violenza subita dagli uomini. Immagino stiate sorridendo o ridendo, ma sono convinto che procedendo a fare una statistica con la stessa metodologia (interviste telefoniche) e facendo domande simili, potremmo scoprire che una percentuale piuttosto consistente di maschi percepisce la violenza femminile in maniera molto diversa da quello che si potrebbe pensare.
Magari le donne non “afferrano” e non danno “spintoni”, ma posso assicurarvi che con la lingua possono fare molto male. Se poi, come per l’inchiesta sulla violenza dei maschi, venissero intervistati maschi separati con figli, ho la certezza che la percentuale di questi ultimi che dichiarerebbero di subire violenza (ovviamente non fisica) dalle ex-mogli sarebbe elevatissima.
Se infine facessimo un’indagine uni-sex che raccolga la percezione della violenza subita, includendo quindi quella introsessuale (donne verso donne, uomini verso uomini) credo potremmo scoprire che le differenze tra i due sessi non sono poi così grandi.
Non voglio negare il fenomeno della violenza maschile sulle donne. Credo che sia un problema reale e piuttosto importante. Probabilmente per certi aspetti persino più significativo di quanto riportato nell’indagine suddetta, ma penso che la metodologia adottata, con la decisione di includere anche fatti “minori”, comprese pressioni psicologiche reali o percepite, abbia raggiunto forse lo scopo di presentare un panorama agghiacciante, ma abbia fatto perdere di valore reale i risultati.
Mi ha colpito ad esempio il fatto che c’è un accentuatissimo trend per cui più la donna è colta ed istruita, più è socialmente elevata, più violenze vengono registrate nell’indagine. Evidentemente la percezione della violenza stessa cambia con l’emancipazione e donne meno istruite tendono a considerare “normali” atteggiamenti e comportamenti che le donne delle categorie sociali più alte non accettano o considerano comunque inopportuni.
Perciò, a conclusione di questo sproloquio, amiche donne, sarò sempre pronto a scendere al vostro fianco contro un giudice che considera i jeans come una cintura di castità, o per un diritto negato, ma se pensate che essere femministe voglia dire fare una cena tra donne o un corteo senza maschi, e poi magari ve ne tornate a casa la sera e a vostra figlia non comprate i pantaloni perché fanno troppo maschiaccio, allora me ne starò al bordo della strada, sollevando perplesso un sopracciglio, e forse non sono neanche il solo.
Io sono del ’62 e mia madre, da casalinga, ha voluto mettersi nel mercato del lavoro. Ho vissuto entrambe le fasi in famiglia, con mio padre che voleva provvedere direttamente e da solo alla famiglia e con mia madre che desiderava avere un minimo di indipendenza economica. Si sono messi d’accordo (leggi: si fa come dice mamma) e le cose sono andate lisce. Non mi sono mai posta il problema del femminismo probabilmente grazie a quest’esperienza familiare. A scuola guardavo con stupore i collettivi, non li capivo.
Ho sempre avuto molti amici maschi e grazie a queste amicizie ho avuto il raro privilegio di comprendere alcuni aspetti dell’essere maschi che di solito le donne non conoscono e non sospettano.
Non ho mai considerato gli uomini “insensibili” infatti solo perché il mio tipo di sensibilità non coincideva necessariamente con quello dei miei amici.
Mi son resa conto che se non volevo che un uomo “ci provasse” con me dovevo evitare di assumere atteggiamenti ambigui che potevano generare confusione nell’altro.
Mi sono resa conto che se ci sono equivoci questi possono essere risolti col buon senso e che gli uomini non sono “porci” se hanno un’erezione, sono semplicemente uomini e le erezioni non sono controllabili. Ciò che può essere controllato è l’uso che se ne fa.
Non giustifico in alcun modo le violenze carnali proprio perché considero l’uomo capace di acquisire quel minimo di autocontrollo che possa fermare un’azione così brutale.
Amo gli uomini. Amo UN uomo e voglio bene a molti di loro. Non li escluderei mai dalla mia vita e non approfitterei mai di loro (si, anche a noi donne è possibile far questo). Ho avuto un marito dal quale sono divorziata e non ho preteso da lui quasi nulla perché sapevo che non era giusto portar via quanto era frutto del SUO lavoro e non del mio.
A volte neanche io capisco certi atteggiamenti femminili e non capisco nessuno dei due sessi quando si muovono per creare incomprensioni e divisioni piuttosto che dialogo e ascolto.
Un dato di fatto esiste: è l’uomo che quasi sempre uccide la donna e non viceversa. Ma a parte questo (e scusami, a me non sembra poco) per tutto il resto ti do’ pienamente ragione.