Il ministro Gentiloni nel suo blog commenta il disegno di legge sull’editoria ed ammette la necessità di una revisione.

È un bene che questo accada, come è un bene che un ministro abbia un blog e si prenda la pena, magari anche tramite qualche collaboratore, di gestirlo. Nell’attuale panorama politico un ministro che ha un blog attivo va comunque elogiato.
Non perderò tempo con commenti stupidi come quelli che lo richiamano a leggere ciò che firma, perché ho una qualche esperienza sul tema e so bene che in certe situazioni è del tutto impossibile leggere tutto quello che si firma.

Penso però che il ministro meriti una risposta al concetto che esprime nel suo messaggio:

Pensavo che la nuova legge sull’editoria confermasse semplicemente le norme esistenti, che da sei anni prevedono sì una registrazione ma soltanto per un ristretto numero di testate giornalistiche on line, caratterizzate da periodicità, per avere accesso ai contributi della legge sull’editoria. Va bene applicare anche ai giornali on line le norme in vigore per i giornali, ma sarebbe un grave errore estenderle a siti e blog
Ho sempre sostenuto questa tesi, sia in parlamento che nei dibattiti pubblici (anche martedi scorso, rispondendo a una domanda di Fiorello Cortiana).
Il testo, invece, è troppo vago sul punto e autorizza interpretazioni estensive che alla fine potrebbero limitare l’attività di molti siti e blog. Meglio, molto meglio lasciare le regole attuali che in fondo su questo punto hanno funzionato.

La posizione del ministro è corretta, ma vorrei sottolineare un’aspetto del mondo internet che mi sembra non sia mai del tutto chiaro alla gran parte della gente, specialmente ai politici.

Non è stabile.

Cambia.

Tutto.

Continuamente.

E soprattutto non ha un confine fisico. Non è come legiferare sul consumo di carrube caramellate. Se si fa una legge che impedisce, limita o rende pericoloso fare una cosa in Italia ci vogliono 10 minuti per trasferirla altrove.

La politica deve essere attentissima a questo aspetto. La rete oggi è importante come una qualsiasi infrastruttura, e non parlo solo dei cavi, ma di tutto ciò che concerne l’utilizzo di quei cavi.

Tirare fuori una legge che castra l’utilizzo libero e spregiudicato della rete anche per un solo anno, può significare far perdere l’occasione favorevole a molte aziende italiane, e non solo quelle che fanno della rete il loro business.

Chiaramente non si deve rinunciare a monitorare i fenomeni, e semmai ad intervenire dove nascono comportamenti illegali o fraudolenti, ma deve essere utilizzato sempre il modo giusto. Le chiusure, le gabbie, i filtri NON sono il modo giusto.

Purtroppo però mi sembra che questo non venga oggi molto recepito nei nostri palazzi governativi, basta guardare ad esempio all’approccio paleolitico e un po cinese con cui si è affrontato il tema dei siti di scommesse: un filtro DNS che fa solo danni, non risolve affatto il problema ed è un piccolo insulto alla democrazia.

Caro ministro, che vogliamo fare?