baby.pngSono un pochino in crisi.

Da una parte considero poco più che irrisorio il pacchetto di agevolazioni che secondo il ministro Padoa Schioppa dovrebbe aiutare i bamboccioni italiani ad uscire di casa.

Dall’altra… leggendo i commenti dei blogger trentenni in risposta al ministro non riesco a non rimanere molto perplesso.

Perplesso perchè, pur comprendendo tutte le buone ragioni che un giovane ha per rimanersene al calduccio sotto il tetto di mamma, pur avendo piena consapevolezza delle difficoltà che ci sono per iniziare una nuova vita fuori di casa, non riesco a condividere le ragioni e soprattutto la rabbia insita nella stragrande maggioranza delle risposte che vengono date.

Ad esempio, non riesco invece a condividere il discorso dell’impossibilità di uscire. Questi ragazzi (ragazzi a trentacinque anni???) in realtà non vogliono uscire di casa. Forse non tutti, ma molti possono fare davvero una scelta, solo che non sono disposti a prendere una strada che li costringe a rinunciare a molte delle cose che oggi hanno, soltanto per il gusto di uscire dalla casa dei genitori.

Non voglio fare il solito vecchio che rimpiange il passato. Giammai. Nè affermo che le generazioni passate siano migliori di quelle odierne (almeno questi non hanno causato guerre mondiali e non hanno perseguitato nessuno, non ancora almeno).

Ma non è affatto vero che con mille euro non si può lasciare la casa dei propri genitori. Lavorando in due, sposandosi, si potrebbe fare qualsiasi cosa. Ma significherebbe metter su famiglia, avere impegni, fare sacrifici, rinunciare a molte cose. Ma soprattutto significherebbe rinunciare al tenore di vita cui i genitori li hanno abituati da sempre. Chi glielo fa fare?

In fondo non è colpa loro. C’è una generazione di genitori i cui figli:

  • sono stati allevati in un ambiente in cui molte delle cose che i loro genitori aveva conquistato duramente sono date per scontate;
  • rimangono a casa pur lavorando, aumentando ulteriormente il loro tenore di vita;
  • scroccano cibo, lavaggio, stiraggio, senza partecipare alle spese di casa;
  • ricevono dai genitori magari anche soldi in occasioni particolari;
  • spendono più o meno tutto quello che guadagnano per divertisi e vestirsi;
  • non hanno la possibilità, nè probabilmente l’avranno, di raggiungere una posizione economica e sociale paragonabile a quella dei loro genitori.

Non c’è da meravigliarsi che non se ne vogliano andare. Andare dove? Per stare peggio?

Sono perfettamente consapevole che non sono tutti così, ci mancherebbe altro. Ma in linea di massima il problema esiste. È un vero fenomeno sociale, consiste nel fatto che siamo arrivati alla generazione del declino. Mi spiego. Fino a qualche generazione fa succedeva un fatto semplice ma potente. I figli mediamente tendevano a migliorare la posizione sociale ed economica rispetto ai genitori.

Mio nonno era contadino con la seconda elementare, mio padre impiegato quasi diplomato, io un consulente e quasi laureato. Per molti anni dal dopoguerra ad oggi la generazione successiva era generalmente più ricca della precedente, sia economicamente che culturalmente. In quella situazione la fuoriuscita di casa della nuova generazione era naturale e rapida, per tutta una serie di buone ragioni, che si possono sintentizzare in una sola: uscendo di casa andavano a stare meglio.

Una casa più bella, un tenore di vita più elevato, relazioni sociali ad un livello più gratificante.

Ma ora siamo arrivati alla generazione del declino. Perchè da qualche lustro sta succedendo una cosa nuova. I figli non stanno necessariamente meglio dei genitori. Parlo sempre di medie, di statistiche, di fenomeno sociale. Mentre prima era normale migliorare, ora per molti conservare anche solo la posizione sociale raggiunta dai genitori risulta difficile. Anche dal punto di vista culturale c’è una tendenza simile. Mentre prima era quasi sempre vero che il figlio aveva studiato più del padre, ora questo non avviene più così frequentemente, può anche avvenire il contrario.

Uscire di casa in questi casi significa, di fatto, abbassare il proprio tenore di vita, rinunciare a molte cose che si sono date per scontate da sempre. Per la prima volta da moltissimo tempo i giovani sono, di nuovo, costretti a fare la vita del giovane che esce di casa. Ripartire da una base inferiore a quella che hanno lasciato. Gli si chiede di lasciare una vita comoda e tranquilla per un’altra incerta, meno gratificante e piena di sacrifici…

Non c’è da stupirsi se la classe sociale che più di ogni altra soffre questo fenomeno è quella media. La classe più elevata è abbastanza potente da riuscire a garantire ai propri figli il mantenimento dello stato sociale acquisito. I notai saranno notai, i macellai sempre macellai, i boiardi partorisocno boiardi e così via. La classe sociale inferiore, la low-class, non soffre di questa sindrome in maniera così forte semplicemente perchè per loro la regola del figlio che riesce a migliorare le posizioni dei genitori è ancora valida e abbastanza funzionante.

Restano fuori i ceti medi, non abbastanza potenti da riuscire a conservare automaticamente lo stato sociale per i loro figli, ma abbastanza benestanti da averli abituati al benessere. Qui diventa difficile uscire di casa e stare meglio, al contrario uscire vuol dire andare a stare peggio.

Sono i più deboli. Non hanno le protezioni che sono garantite ai figli della classe elevata, non hanno la grinta e le palle dei figli dei più sfigati, pronti a lottare unghie e denti per scalare posizioni.

Situazione peraltro destinata a peggiorare ed a colorarsi di altre tinte, quando i figli degli immigrati cominceranno (presto) a “fregare” regolarmente i bamboccioni locali su ogni fronte.

E qui mi fermo perchè ho davvero molta paura di fare previsioni che potrebbero avverarsi.