Il processo sembra essere uno di quelli inarrestabili.

Prima abbiamo assistito allo spostamento della logica applicativa dal terminale al server, con esiti più o meno fruttuosi ci siamo ritrovati tutti a lavorare con interfacce web, anche dove un programma locale sarebbe stato assai più efficace e meno dispendioso.

Ora questo spostamento si va completando con l’avvento delle suite office web, come quella di Google e tante altre che la seguiranno a ruota.

Infine, inevitabilmente, accanto al processo di trasferimento del potere e della logica elaborativa dal client, il nostro computer, ai server delle grandi multinazionali, si sviluppa il trasferimento persino dei nostri dati su quegli stessi server.

È il progresso che avanza? Non ne sono convinto affatto. Comprendo che molti giovani non hanno la memoria per poterlo capire, ma lo spostamento delle applicazioni dal client al server l’abbiamo pagato e lo stiamo continuando a pagare con un maggiore peso elaborativo e un netto peggioramento delle interfacce utente.

Sicuramente starete storcendo la bocca, perchè forse accetterete il fatto che le applicazioni flash e java pesino almeno un ordine di grandezza più dei programmi che girano in locale, ma probabilmente rifiutate l’idea che l’interfaccia web sia meno usabile di quella di un programma “tradizionale”.

Eppure, mediamente, è proprio così. Sono davvero rari i siti che propongono un’interfaccia web realmente usabile, comoda, semplice e veloce. Possono fregiarsi di tutti i web2.0 che vogliono ma la gran parte di questi tanto osannati siti fa letteralmente pena dal punto di vista dell’utilizzatore. Almeno se li confronto con quello che si potrebbe fare (e si faceva) con un buon programma locale.

La vittoria del web2.0 non è nell’utilizzatore, ma nella facilità con la quale vengono distribuite e gestite applicazioni. I vincitori sono i padroni dei server non noi.

Ma questo non è molto importante. Molto più grave è la perdita del possesso dei dati.

Nelle mani di chi stiamo affidando i nostri dati? I nostri documenti, le lettere, i file? Ci fidiamo di loro? Cosa ci garantiscono? Se provate a leggere i contratti che virtualmente firmate, invece di scrollare rapidamente alla fine, scoprirete che non avete diritto a nulla. Niente vi è dovuto, i dati, il servizio, tutto è alla mercè di coloro che gestiscono i server.

Non mi meraviglierà in futuro se qualcuno introdurrà qualche vincolo sui nostri stessi dati, così che non saranno più neanche nominalmente nostri.

No, non mi sembra un buon approccio, non mi piace e non sono disposto ad accettarlo.

I miei file, le mie foto, i miei documenti, stanno bene sul mio computer, magari crittografati e con doppio backup. Può darsi che farò un pochino più fatica ad avere qualche servizio strafigo, ma sinceramente sono disposto a pagare questo piccolo prezzo, piuttosto che affidarmi a qualcuno che ha come obiettivo primario il fare soldi, e non il farmi felice.

Guardate non è una battaglia contro internet, non ho problemi nella condivisione. Se voglio mettere un testo, come in questo blog, o una foto, come in flickr, a disposizione del mondo, lo faccio attraverso uno strumento dedicato come quelli. Ma se voglio semplicemente memorizzare i dati da qualche parte non ritengo che un server a casa di qualcun altro sia il posto più adeguato.

Perchè potrei scoprire un giorno, con grande dispiacere, che quei dati non erano per niente privati.