http://commons.wikimedia.org/wiki/Image:Food-catering.jpgCredo che tutti sappiano cos’è un buono pasto, o ticket, per gli anglofoni. E’ un pezzetto di carta con un certo valore stampato sopra che dovrebbe permettere l’acquisto di cibarie per un valore corrispondete.

Peccato che non sia così.

Vi faccio un esempio. Io ricevo dei buoni pasto del valore di sei euro. Vado ad un bar, o un ristorante, o un altro esercizio che accetta questi buoni, prendo un piatto che costa sei euro e pago con il mio buono.

Sembrerebbe tutto a posto, ma le cose sono molto più complesse ed hanno implicazioni notevoli.

Cominciamo da questa notizia breve che vi invito a leggere.

Letta? Bene. Non si tratta dei miei buoni pasto, ma non cambia molto, ogni società che distribuisce buoni funziona più o meno in quel modo e ritengo che gli sconti che la mia azienda ottiene siano tutto sommato simili a quelli citati nell’articolo.

La cosa che salta all’occhio è che le ditte che gestiscono ticket si fanno concorrenza a suon di sconti sul prezzo nominale del ticket. In pratica fanno pagare all’azienda un ticket meno del suo valore nominale.

Prendiamo atto di questo fatto e lasciamolo per un attimo da una parte, dedichiamoci invece a fare il passo successivo. A questo punto l’azienda che gestisce i ticket vende questi ultimi all’azienda per cui lavoriamo e che a sua volta da i ticket a noi. Noi andiamo negli esercizi commerciali e li utilizziamo per comprare cibo.

Gli esercizi commerciali prendono questi buoni e li consegnano all’azienda che gestisce i ticket la quale li paga. Il punto è: quanto li paga? E’ evidente che l’azienda che gestisce il circuito di ticket deve guadagnare. Altrettanto evidente è il fatto che affronta delle spese. Credo sia abbastanza credibile pensare che l’azienda gestore dei ticket ricarichi su questi una certa percentuale, ricavata pagando all’esercizio commerciale che li incassa una cifra inferiore a quella che aveva fatto a sua volta pagare all’azienda che comprava i ticket per darli ai dipendenti.

ticket.pngCi siamo? Complicato? Ma no, diciamo che il ricarico sia del 10% (è solo un’ipotesi) e vediamo la tabellina qui a fianco. Due cose importanti appaiono subito chiare: la prima è che la nostra azienda non sta spendendo sei euro, come promesso da contratto, ma spende meno (su questo torneremo poi); inoltre è evidente che il commerciante dove spendiamo i nostri ticket incassa una cifra considerevolmente inferiore al valore nominale del buono. Quindi in realtà l’azienda non ci sta dando valore per sei euro ma per molto meno di cinque. Nell’esempio la perdita di valore è quasi del ventitre per cento.

Qualcuno potrebbe dire a questo punto, ma che problema c’è, se comunque noi riceviamo beni per sei euro l’azienda sta onorando il suo contratto con noi lavoratori…

Ma è ovvio che questo non è vero. Un esercizio che accetta buoni pasto sa benissimo quanto incasserà per quel buono e sa anche con che tempi incasserà quei soldi rispetto a del contante.

Pensate che non si adegui in qualche modo per gestire questo fenomeno? Pensate davvero che se i buoni non esistessero e tutti pagassero in contanti i prezzi dei piatti che compriamo sarebbero gli stessi?

No di certo. La realtà è che riceviamo un valore inferiore a quello nominale, con guadagno della società di gestione dei ticket e del datore di lavoro.

A questo si aggiunge un altro impatto assolutamente negativo. Si tratta della caduta di qualità delle mense aziendali. Le mense aziendali infatti sono gestite da società private che, anche in questo caso, vincono degli appalti con il datore di lavoro. Potete facilmente intuire che quando una società che gestisca mense abbia anche il controllo della gestione dei ticket, non sia possibile in alcun modo pensare di vincere una gara contro di loro. Controllando due anelli della catena possono ottimizzare i costi (e fare anche qualche altro giochetto scorretto, volendo).

E’ poi evidente che nel caso delle mense il calo di valore del ticket non può che ribaltarsi sulla qualità del servizio. Avete dubbi?

Per non parlare di tutti quei casi in cui c’è commistione o partecipazione azionaria tra datore di lavoro, gestore dei ticket, gestore della mensa.

Altro elemento negativo sono i resti, una fonte di perdita di valore inesauribile per i lavoratori che spesso perdono quei bizzarri fogliettini con i resti. Chi usa i buoni sa di che parlo.

I buoni pasto sono quindi una fregatura. Il guadagno di valore ricavato dalla tassazione inferiore (rispetto al pagamento di una cifra equivalente al buono pasto direttamente in busta paga) è spesso totalmente sperperato dalla perdita di valore reale dovuta ai passaggi azienda-gestore ticket-commerciante.

Basterebbe una piccola azione della politica, una leggina che permettesse di versare i soldi del buono direttamente in busta paga, sgravati da ogni tassa, per porre fine a questo spreco.

Sarebbero contenti i lavoratori, che riceverebbero soldi invece di bigliettini di carta svalutati; sarebbero contenti i gestori che potrebbero tornare a praticare prezzi più aderenti alla realtà (e tornare ad essere competitivi anche verso i clienti che non usano buoni)…

Sarebbe un disastro per le società di gestione dei ticket e una piccola sconfitta per le aziende, ma tutto sommato ne avrei anche una certa soddisfazione, specialmente per le prime, mentre per le seconde, beh si tratterebbe di tornare a pagare quello che era stabilito, non un centesimo di più… e poi di questi tempi un atiutino alle famiglie anche così piccolo non sarebbe male no?
Pensate che qualcuno in parlamento abbia voglia di metterci mano?

Si sa io non sono un uomo di fede, perciò penso proprio di no.