mais.pngIo non sono un’esperto di economia, anzi non sono esperto di niente, perciò tutto quello che dirò prendetelo per quello che è, una semplice opinione non supportata da fatti o competenze.

Con la caduta del muro, la conversione della Cina al capitalismo e lo spostamento “centrista” del pensiero di sinistra in tutto il mondo, siamo oggi di fronte, forse per la prima volta nella storia, ad un supporto compatto e quasi del tutto uniforme ad un’unico modello economico.

Questo modello si basa sul presupposto che le economie non possano raggiungere un punto di equilibrio, ma debbano necessariamente “crescere”, crescere senza fine.

L’ansia della crescita è diffusa in tutto il mondo. Tutti gli indici e le valutazioni sulla salute di un’economia prendono come più importante parametro di misurazione quello della crescita.

Una semplice logica, accessibile anche ad un bambino, vorrebbe che in un sistema chiuso, come il nostro pianeta, a risorse finite, non fosse possibile che un modello basato sulla crescita continua possa durare per sempre. Il motivo dovrebbe essere ovvio, ma voglio esplicitarlo.

Se tutti crescono prima o poi saranno colmati tutti gli spazi e si arriverà ad un momento di saturazione totale delle risorse. E non parlo solo di risorse come il petrolio, penso anche all’aria e all’acqua.

I guru dell’economia favorevoli ad un modello di crescita perpetua difendono la loro posizione affermando che questo semplice ragionamento viene smentito dai fatti, ed in particolare sottolineano come la tecnologia, con le sue evoluzioni tecniche, apra continuamente nuovi spazi allontanando il rischio di esaurimento delle risorse tramite nuovi e più efficaci metodi di approvvigionamento e lavorazione delle stesse. Affermano inoltre che non ci sono particolari preoccupazione per i rischi che questo tipo di approccio può portare, e confidano con grande fede nella capacità della tecnologia di affrontare e risolvere i problemi che si presenteranno, sostituendo risorse esaurite con nuove risorse.

Personalmente ho molti dubbi sulla validità di quest’ultima posizione, ma non è tanto su questo che si concentra la mia antipatia al modello della crescita perpetua. No, il problema principale che ho con questo modello è un’altro e riguarda lo scopo, i fini, di questa crescita.

Gli effetti benefici della tecnologia infatti possono essere sfruttati in molte maniere. Io distinguo questi effetti in due grandi categorie. Effetti quantitativi ed effetti qualitativi.

Non è difficile distinguerli, ma sono frequenti i casi in cui applicazioni tecnologiche hanno effetti positivi in entrambi i campi.

Il guaio è che, generalmente, la ricerca della crescita perpetua fonda i suoi successi, o presunti tali, sugli aspetti quantitativi e solo marginalmente, quasi come effetto collaterale, ottiene anche degli avanzamenti qualitativi.

In realtà non è sempre stato così. Per molto tempo si è ritenuto ad esempio che i vantaggi della maggiore produttività raggiunta utilizzando nuove tecnologie dovessero essere sfruttati per garantire agli esseri umani un progressivo affrancamento dalla necessità del lavoro. In parole povere l’idea è che la maggiore produttività potesse essere principalmente utilizzata per lavorare meno, continuando ad ottenere gli stessi beni, o beni leggermente migliori.

L’esempio della quantità di lavoro è solo uno. In generale si riteneva che la tecnologia e lo sviluppo dovessero essere impiegati per migliorare la qualità della vita, in senso ampio.

Con questa ottica nascevano i movimenti che avrebbero poi portato a sviluppare innovazioni come l’assistenza sanitaria gratuita, la diminuzione degli orari lavorativi, lo sviluppo delle attività del terziario, l’aumento dei diritti dei cittadini  etc etc

Questa visione è stata ora superata, accantonata e persino derisa, ed al suo posto è subentrata la filosofia della crescita perpetua.

Secondo questa logica la crescita, il mercato, sono da soli, con meccanismi più o meno automatici, in grado di garantire lo sviluppo qualitativo e quantitativo dell’uomo.

Ma la qualità della vita non è centrale, non è un obiettivo diretto. In nome della crescita e del mercato infatti stiamo iniziando a smantellare alcune idee e strumenti creati nel secolo scorso.

Dell’orario di lavoro oggi si parla solo per valutare se è possibile aumentarlo (verticalmente o orizzontalmente, più ore al giorno, più anni della tua vita). Della sanità per smantellare la gratuità in nome dello sviluppo e della crescita (che il privato garantisce maggiormente).

Io penso invece che dovremmo concentrarci un pochino di più sulla felicità, stato che è molto più facile da raggiungere di quel che si crede, e per ottenere il quale servono meno cose di quelle che abbiamo già ora. Lo sviluppo dovrebbe avere questo scopo, rendere tutti più felici.

In certe zone del mondo questo dovrebbe essere ottenuto trasformando la ricerca della quantità in ricerca della qualità; in altre parti del mondo si dovrebbe gestire la crescita, magari ancora necessaria, dirigendone però gli effetti principalmente sulla qualità della vita delle persone.

In ogni caso dovremmo riflettere molto profondamente sulla necessità di rivedere la nostra politica della crescita perpetua, sia come modalità economica di gestione del mondo, sia come modalità di distribuzione dei vantaggi.

Non vedo però vicino il momento della svolta. Credo anzi che in quest’epoca noi ci troviamo al culmine del dominio dell’idea dello sviluppo perpetuo.

Si vedono timidi movimenti nascere e discutere, ma non hanno neppure lontanamente la potenza ed efficacia che sarebbe necessaria per ribaltare un andamento così consolidato e globale come quello della crescita perpetua. Sono inoltre ad uno stadio ancora immaturo (a mio avviso) e soggetti a cadere nella tentazione di radicalizzarsi, come reazione alla radicalizzazione dell’avversario ideologico con cui devono combattere.

Siamo dunque al culmine di un’epoca e difficilmente potremo nelle nostre vite produrre i cambiamenti necessari alla nascita della nuova. Possiamo però lavorare per porre i semi per la prossima evoluzione, che probabilmente sarà spinta dalla necessità, in modo che possano crescere forti quando sarà il momento.

E l’unico modo che abbiamo è continuare a parlarne.